Brand e pubblicità inclusive: 5 ottimi esempi - Cuciverba
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un televisore vintage davanti a una parete bianca

Brand e pubblicità inclusive: 5 ottimi esempi

Sono copywriter e lavoro nel settore della comunicazione, perciò quando guardo la TV presto molta attenzione anche se va in onda la réclame, che analizzo con spirito critico. Eh già, non si finisce mai di lavorare, pure nei momenti di relax. Pertanto, se mi imbatto in pubblicità inclusive per messaggi, narrazione e rappresentazione delle persone, allora sussulto sul divano o mi lascio andare in un soddisfatto “Eeeee, ma era ora!”, in stile Mara Maionchi.

Quanto c’è bisogno di bellezza nella comunicazione! Perciò ritengo sia importante esaltare le campagne ben fatte, che non fanno ricorso a stereotipi e cliché, usati per pigrizia e mera scorciatoia comunicativa.
Spetta a noi che lavoriamo nel settore diffonderle il più possibile, spargerle come un profumo fresco nell’aria stantia e asfittica, per contaminare tutto ciò che ci circonda. Dobbiamo insomma mostrare che gli esempi positivi esistono, anche per lasciarci ispirare da essi.

Per dirla come Kant, è un imperativo categorico, un dovere morale, educare i brand a guardare al di là del target bianco, abile ed eterocis. Ma anche per risparmiare loro scivoloni, errori di comunicazione e le conseguenti “shitstorm” sui social. Non siamo più negli anni Cinquanta, il mondo è cambiato.
E poi di pubblicità sessiste e cariche di cliché ne abbiamo pieni occhi e orecchie. Chi come me è degli anni Ottanta, dal tubo catodico ha mangiato pane e stereotipi senza nemmeno accorgersene. E ha fatto indigestione.

 

un frame dello spot di Parmigiano Reggiano con il lavoratore del settore lattiero caseario, chiamato Renatino

L’esempio di uno spot che ha generato un dibattito accesso su sfruttamento del lavoro, classismo e infantilizzazione del lavoratore.

 

Tutto questo preambolo per dire che ho riflettuto su cosa potessi fare nel mio piccolo, come comunicatrice presente sui social. Così ho creato una rubrica Instagram che ho chiamato, ispirandomi alla comunicazione sociale della pubblicità progresso, #PubblicitàEProgressi.
In realtà il nome lo ha deciso la mia community, rispondendo a un sondaggio nelle storie di Instagram dove elencavo le varie proposte tra cui scegliere.
È una rubrica che raccoglie numerosi spot e campagne degne di nota, con una certa attenzione a non promuovere brand che fanno washing, quelli che si fingono attivisti solo per vendere. Ahi, ahi, non si fa. Cari brand, bisogna essere coerenti tra come si è dentro e come si appare fuori. Oramai il pubblico è sensibile e se ne accorge.

Facendo un passo indietro, e tornando alla mia rubrica, mi emoziona sempre quando le persone che fanno parte della mia piccola ma meravigliosa community mi segnalano spot interessanti che hanno visto in tv, chiedendomi di parlarne in #PubblicitàEProgressi. Vuol dire che sono riuscita a fare passare il messaggio e dimostra che la bellezza è apprezzata. Capito, brand?

Ma procedo per gradi prima di lanciarmi nell’analisi di alcune campagne che mi hanno colpita o che hanno lasciato il segno. Vediamo intanto la definizione di pubblicità inclusiva.

Pubblicità inclusive, in che senso?

Per pubblicità inclusiva intendo una campagna che si distingue da tutte le altre a cui oramai abbiamo fatto l’abitudine, perché, ad esempio, rappresenta persone di comunità marginalizzate – che, udite udite, esistono nella nostra società -, come per esempio donne nere, persone non binarie (che non si identificano nel genere maschile e femminile), o con disabilità. Tuttavia si riconoscono molto raramente nei media, nelle pubblicità, nei film, nelle serie tv, nei libri,… purtroppo perché non si parla di loro, o magari quando accade non lo si fa nel modo corretto.

Pensiamo ad esempio a una donna in carrozzina, a un ragazzo con la sindrome di Down e a un anziano. Sono tutte persone ancora sottorappresentate nel mondo dell’advertising, a meno che non si tratti di spot per associazioni, fondazioni filantropiche o brand nel campo sanitario. Se però provo a ricordare spot italiani di grandi marchi, non mi viene in mente quasi nulla che le rappresenti. Purtroppo.

Sarebbe necessario spingersi oltre: vedere persone anziane, o con disabilità, al centro di pubblicità che non le colleghino strettamente alla loro condizione di salute o di disabilità, ma come consumatrici tout court. Soprattutto per decostruire certi stereotipi e per rappresentare meglio la realtà. Sono persone che contribuiscono all’economia di un Paese e hanno potere d’acquisto. Con questo non intendo negare che esista un problema di accesso all’occupazione per le persone con disabilità, o che chi è in pensione talvolta viva sotto la soglia di povertà.

Ma in Italia le persone anziane sono protagoniste per lo più di spot di apparecchi acustici (come se chi è giovane non ne possa aver bisogno), di farmaci e assorbenti per l’incontinenza. Riflettiamoci.
Oggi nel nostro Paese vivono ben 14 milioni di persone over 65 e non comprano solo pomate, pillole e pannoloni. E le persone con disabilità, dato del 2019, sono oltre 3 milioni.
Insomma, non è bello ed è riduttivo fare leva su questo, ma ci sono pure i numeri che testimoniano una necessità di maggiore rappresentazione.

Tornando alla definizione di pubblicità inclusiva, è di certo inclusivo anche uno spot che ribalta stereotipi, soprattutto di genere, scardina tabù e decostruisce narrazioni tossiche. Tra poco vedremo alcuni esempi, per capire.

Piccola digressione, che però casca a fagiolo: sul tema della rappresentazione nelle campagne pubblicitarie e sull’accessibilità digitale, ho partecipato come ospite alla diretta Instagram della collega copy Maria Elena Marras. Puoi recuperarla a questo link.

Ora andiamo al sodo e scopriamo alcune pubblicità inclusive che si sono distinte per forza comunicativa o per i messaggi significativi di rappresentazione, narrazione e decostruzione di stereotipi.

5 esempi di pubblicità inclusive

Viva la vulva: la pubblicità Nuvenia

Questo è uno spot che ha lasciato il segno nel mondo dell’advertising e, come spesso accade, ha pure sollevato un vespaio. Molte persone, tra cui parecchie donne, si sono dette disgustate e inorridite dopo averlo visto.
Ciò è successo perché è una campagna che va a toccare tabù sociali come le mestruazioni, che spesso nemmeno vengono nominate oppure sono addolcite e camuffate utilizzando altri nomi (il ciclo, le mie cose, il marchese, quei giorni, il palloncino rosso), solo per vergogna e imbarazzo.
Sin da quando siamo piccole percepiamo un’aura di mistero attorno a un evento che invece fa parte del nostro corpo.

un fermo immagine dello spot Nuvenia
Nuvenia invece ha osato mostrare in uno spot: un assorbente leggermente sporco di rosso, e non di un irreale blu; pesche, conchiglie, pompelmi, muffin, origami e pupazzetti che ricordano vulve; una donna nera, una persona tatuata, una anziana che crea vulve all’uncinetto,… ed è successo il pata(ta)trac.

Lo spot è una netta presa di posizione contro i tabù del patriarcato e smantella la vergogna per le mestruazioni,

da troppo tempo associate allo sporco (il sangue mestruale), ma anche gli stereotipi e la perfezione dei corpi.

Ricordiamo però che le mestruazioni non riguardano solo le donne, possono averle anche persone non binarie e uomini transgender, e che gli assorbenti (non biodegradabili) hanno ancora l’Iva al 10%.

Donne e motori, solo gioie please: lo spot Volvo Usa del 2015

Nonostante il suo logo richiami il simbolo alchemico maschile, Volvo si distingue per campagne pubblicitarie che non premono l’acceleratore su stereotipi di genere. E per aver sviluppato un progetto, E.V.A.-Equality Vehicles for All, che prevede l’utilizzo di manichini femminili nei crash test. Lo fa dal 1995, e non è finita qui: dal 1970 raccoglie dati su incidenti stradali per analizzare cosa accade in un sinistro ai corpi, sia di uomini che di donne.
Insomma, Volvo ci dimostra che l’auto non è solo faccenda maschile. Per fortuna qualche brand lo ha capito.

Il mondo dell‘automotive è invece generalmente pervaso dal sessismo, che si riflette inevitabilmente nel marketing e negli spot pubblicitari delle case automobilistiche.
Spesso auto e bolidi sono guidati da uomini, magari accompagnati da donne iper sessualizzate, dalle curve sinuose, e oggettificate. Oppure se alla guida dell’auto troviamo una donna, 9 volte su 10 sta portando la

Pubblicità Vileda: un colpo di spugna alla grassofobia e a molti cliché

La campagna globale di Vileda dà un colpo di spugna che spazza via molti cliché. Il protagonista è il ballerino, coreografo e influencer Erik Cavanaugh, divenuto famoso con America’s Got Talent.

Il claim su cui si basa il commercial recita “tu ci metti la casa, noi i talenti” (ricordiamoci che siamo nel pieno di una pandemia che ci costringe in casa).
E così, una strepitosa fotografia e una sapiente regia ci accompagnano sulle note della canzone “New Shoes” nelle stanze di casa che diventano veri e propri palcoscenici per danze di ogni genere: classica, contemporanea, break, ecc…

un fermo immagine dello spot Vileda: il ballerino danza con una scopa in mano ed è in vestaglia color carminio.
Cavanaugh nello spot elimina ogni traccia di mascolinità tossica: è un uomo che balla mentre fa le pulizie! Prende scopa, mocio e altri prodotti per pulire casa (azione considerata ahimè tipicamente femminile), e li usa, sempre con il sorriso, come parte della coreografia.

E poi spazza via lo stereotipo “danza = corpi magri”. Era ora! Ogni tanto capita di vedere corpi grassi nelle pubblicità che promuovono il valore della body positivity, per lo più però con soggetti femminili, e con il solo fine commerciale, di marketing. Penso infatti a importanti brand di moda o del settore beauty, che a volte odorano di washing, cioè di finto attivismo a solo scopo di vendita.

Che dire invece di Vileda? Per me ha creato un ottimo precedente nel mondo dell’advertising.

Due pubblicità Lgbt+ inclusive

Idealista: lo spot per il Pride che ribalta stereotipi di genere e combatte l’omofobia

È uno degli spot italiani più belli andati in onda nel mese dedicato al Pride, perché riesce a fare a

coriandoli gli stereotipi di genere e l’omofobia in soli trenta secondi.

Nel commercial si vede un ragazzo citofonare a un appartamento. La porta si apre, lui si presenta, allungando la mano, con un “Salve, sono Federico” e il signore che ha aperto, in modo burbero, senza ricambiare la stretta di mano e il saluto, inizia a fargli le raccomandazioni. Quelle classiche raccomandazioni che un padre fa a chi viene a prendere la figlia al primo appuntamento: sulla guida, sull’orario di rientro e sul comportamento.

Poi esce la persona che Federico stava aspettando: è un ragazzo (sorpresa!), che bacia e saluta il padre, e sulle scale bacia e tiene per mano Federico. Il padre, che li vede, grida un “Ehi, copritevi”, ma non è come si potrebbe pensare: intende copritevi con la bandiera arcobaleno, e sorride. Ora si capisce che la coppia probabilmente andrà a una manifestazione per i diritti della comunità Lgbtqia+, il Pride appunto. Poi, in chiusura, il claim “La libertà parte da casa”.

Curiosità: il brand è uno degli sponsor del Pride di Milano, e la coppia dello spot è interpretata da due persone che fanno proprio parte della comunità Lgbtqia+ (ottima scelta!).
Questo video rappresenta ciò che dovrebbe esserci in tutte le famiglie: comprensione, accoglienza, dialogo. E quello che non dovrebbe esserci: l’omolesbobitransfobia.

un fermo immagine dello spot Idealista: un ragazzo con i capelli molto corti è in piedi davanti alla porta di un appartamento

La favola natalizia di Posten Norge: Santa Claus si innamora di un uomo

Questo non è un semplice spot, ma una bellissima favola di Natale, lunga quasi come un corto (4 minuti!). È ben girato e di alta qualità, ma non lo vedremo mai in Italia, se non su YouTube.
È infatti la campagna di Posten Norge, le poste norvegesi, che ha voluto celebrare i 50 anni della depenalizzazione dell’omosessualità con una bellissima storia d’amore. Quella tra un uomo, Harry, e Babbo Natale.

I due si incontrano per anni solo la notte di Natale, quando l’anziano canuto di rosso vestito è al lavoro per la consegna dei regali. Parlano, ridono, scherzano e… si innamorano.
Harry però è triste e non gli basta vedere Santa Claus un giorno all’anno, così si dichiara scrivendogli una letterina con queste semplici parole: “All I want for Christmas is you” (sì, ha preso in prestito le parole di Mariah Carey, vabbè). Prepariamo il fazzoletto.

Poteva Babbo Natale non esaudire il suo desiderio? Ecco che Harry, in trepidante attesa di vederlo, come ogni anno, ode il campanello di casa. Una postina gli consegna i regali e, un po’ stupito e preoccupato per non vedere il suo amore, subito si rincuora quando lo scorge ad attenderlo nel salotto. Santa è libero dalle incombenze di lavoro, che ha affidato alle poste per accontentare Harry.
Happy ending: si baciano e vissero felici e contenti.

In chiusura, sovraimpresse sulla vista notturna di una cittadina norvegese innevata, appaiono le scritte: “Nel 2022 sono 50 anni che in Norvegia possiamo amare chi vogliamo. Buon Natale e felice Anno nuovo. Da: tutti noi Per: tutti noi”. Proprio come in una lettera.
Trovo questo spot, oltre che geniale, di una poetica meravigliosa. Una favola natalizia che scalda il cuore, ma con un chiaro significato politico, civile e sociale.


un fermo immagine dello spot delle poste norvegesi: Babbo Natale bacia il suo amore Harry

 

Ti sono piaciuti questi spot? Questa che ho presentato è solo una selezione delle campagne che ho analizzato nella mia rubrica Instagram #PubblicitàEProgressi: puoi trovarle tutte nella mia guida, sempre via via aggiornata.

Di seguito i video degli spot di cui ho parlato nell’articolo:

 

 

Mi presento
Sono Silvia Ghisi, alias Cuciverba, mi occupo di identità verbale. Se la comunicazione per te è un rebus trovo la soluzione. Pensi che i tuoi testi siano una matassa aggrovigliata? Nessun problema.
Eccomi qui apposta per: scrittura di testi per il web in ottica Seo, contenuti per i social, comunicati stampa, studio di brand name e payoff, consulenza di comunicazione.
Ti ascolto e ti rispondo qui silvia@cuciverba.com

Silvia
silvia@cuciverba.com


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