comunicazione inclusiva - Cuciverba
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Sono copywriter e lavoro nel settore della comunicazione, perciò quando guardo la TV presto molta attenzione anche se va in onda la réclame, che analizzo con spirito critico. Eh già, non si finisce mai di lavorare, pure nei momenti di relax. Pertanto, se mi imbatto in pubblicità inclusive per messaggi, narrazione e rappresentazione delle persone, allora sussulto sul divano o mi lascio andare in un soddisfatto "Eeeee, ma era ora!", in stile Mara Maionchi. Quanto c'è bisogno di bellezza nella comunicazione! Perciò ritengo sia importante esaltare le campagne ben fatte, che non fanno ricorso a stereotipi e cliché, usati per pigrizia e mera scorciatoia comunicativa. Spetta a noi che lavoriamo nel settore diffonderle il più possibile, spargerle come un profumo fresco nell'aria stantia e asfittica, per contaminare tutto ciò che ci circonda. Dobbiamo insomma mostrare che gli esempi positivi esistono, anche per lasciarci ispirare da essi. Per dirla come Kant, è un imperativo categorico, un dovere morale, educare i brand a guardare al di là del target bianco, abile ed eterocis. Ma anche per risparmiare loro scivoloni, errori di comunicazione e le conseguenti "shitstorm" sui social. Non siamo più negli anni Cinquanta, il mondo è cambiato. E poi di pubblicità sessiste e cariche di cliché ne abbiamo pieni occhi e orecchie. Chi come me è degli anni Ottanta, dal tubo catodico ha mangiato pane e stereotipi senza nemmeno accorgersene. E ha fatto indigestione.   [caption id="attachment_16192" align="aligncenter" width="300"] L'esempio di uno spot che ha generato un dibattito accesso su sfruttamento del lavoro, classismo e infantilizzazione del lavoratore.[/caption]   Tutto questo preambolo per dire che ho riflettuto su cosa potessi fare nel mio piccolo, come comunicatrice presente sui social. Così ho creato una rubrica Instagram che ho chiamato, ispirandomi alla comunicazione sociale della pubblicità progresso, #PubblicitàEProgressi. In realtà il nome lo ha deciso la mia community, rispondendo a un sondaggio...

Mi piace poter condividere quello che imparo, perché è bello non tenersi tutto per sé. Così in questo articolo parlo del corso sulla leadership inclusiva (concluso a maggio) che mi ha trasmesso molto, e a mio parere è utile a ogni persona, e non solo nella vita professionale. Perché l'ho frequentato? Mi interessavano i contenuti, anche se non ricopro ruoli di leadership (sono freelance), né sono consulente di Diversity&Inclusion (da ora abbreviata in D&I), ma lavoro con le parole, che scelgo siano rispettose e prive di pregiudizi, inclusive. Sono infatti una copywriter attenta al linguaggio inclusivo. Il video di introduzione al corso Questa esperienza mi ha fatta riflettere ancor di più sull'importanza di un ambiente di lavoro in grado di coinvolgere tutti gli individui, e che sa riconoscere e valorizzare le differenze e le peculiarità di ciascuna persona (fornitrice, collaboratrice, dipendente o cliente). Ecco perché non serve essere "boss" o titolare d'azienda per essere leader, ma un essere umano che interagisce con altri esseri umani. Due cose in particolare hanno lasciato il segno nella mia memoria. La prima, se si parla di inclusione nel posto di lavoro, si deve considerare anche il gruppo della maggioranza, non solo le minoranze meno rappresentate e discriminate. Perché l'obiettivo è appunto rispettare e valorizzare ogni persona, facendo in modo che lo percepisca, senza escluderne proprio nessuna. Seconda cosa, la leadership inclusiva parte dall'autoconsapevolezza, dei propri limiti, dei propri errori, e dei propri pregiudizi inconsci. Come per il linguaggio inclusivo (qui il link al mio articolo sul tema), anche questo è un percorso, sincero e profondo, di crescita, che in tal caso mira a raggiungere gli obiettivi aziendali e a far progredire la carriera altrui. È insomma una leadership al servizio, di influenza sociale, e non necessariamente collegata a ruoli apicali. I tratti distintivi della leadership inclusiva La persona che la coltiva...

«Non si può più dire niente!»: quante volte ti sarà capitato di sentire questa frase? Di recente, nel nostro Paese si parla sempre più di linguaggio inclusivo ma, ahimè, in risposta si sente pure gridare contro la scure del "politicamente corretto", se così si può definire. Ci tengo a chiarire che l'inclusione non c'entra con la censura, c'entra invece con l'ascolto, il dialogo e le richieste di rappresentazione. Non si vuole censurare nulla. Ogni persona è libera di dire ciò che vuole, l'importante è che non offenda. Il "politicamente corretto", infatti, lo ritengo sinonimo di rispetto, non di censura ipocrita da parte di persone moraliste benpensanti, come accadeva nella musica o in tv nei decenni scorsi. Messaggio che invece intende far passare chi è contro il linguaggio inclusivo, agitando lo spettro della cancel culture solo per difendere lo status quo e, di conseguenza, ridicolizzare chi chiede di utilizzare parole più rispettose. Tornando all'oggi, se le persone nere, vittime di razzismo sistemico, chiedono che non si usi la "parola con la N" (ne*ro/a), perché rimanda a brutte pagine della storia (colonialismo, schiavitù,...

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